L’informazione e la sua libertà

7 07 2010

Ieri ho seguito il primo evento-lezione presso la scuola Democratica: “L’informazione e la sua libertà”.
Non so se abbia avuto un senso prospettico, per me, dato che ormai non rientro affatto nella categoria “giovani” ai quali si rivolge la “Scuola di Politica” voluta da Walter Veltroni, presente ieri e molto attento, spesso seduto tra gli ascoltatori.
Comunque in questo momento storico mi interessava molto seguire i quattro punti all’ordine del giorno e i personaggi che li trattavano.

Paolo Mieli – Le limitazioni alla libertà di informare nei regimi autoritari

Ha inizato Paolo Mieli, che in realtà ha offerto  una panoramica sulla storia del giornalismo a partire dal 1600 passando dalla rivoluzione francese, dal risorgimento italiano, soffermandosi su come il fascismo varò leggi che azzerarono la libertà di stampa. Lo statuto Albertino lo consentiva, ha spiegato Mieli: la nostra Costituzione no.
Non ha forzato deduzioni ma non è difficile fare due più due e capire che gli attacchi continui alla Costituzione nascondano ambizioni e obiettivi piuttosto torbidi.
Mieli ha invitato a leggere molti giornali, capire che difficilmente la ragione è sempre solo da una parte: farsi una idea  propria, salvo poi “in pubblico” sostenere un punto di vista chiaro e univoco (questa è una cosa che anche moli politici della sinistra dovrebbero imparare).
Lasciando trasparire l’idea che oggi l’informazione non si possa arrestare, facendo riferimento al caso Cina-Google, Mieli,ha concluso il suo intervento con una frase che lascia spazio all’ottimismo:
“Poco lutto e molta inventiva”.

Roberto Zaccaria – Le garanzie giuridiche per l’informazione nelle democrazie

Anche Roberto Zaccaria si è discostato dal tema del titolo: con stie lieve e non privo di umorismo si è concentrato sill’Italia e ha tenuto una vera e propria lezione di diritto costituzionale, con tanto di slides, a proposito dell’articolo 21 della Costituzione (grazie a Guido Tedoldi per aver segnalato un errore): quello relativo ala libertà di espressione. L’ha messo poi a confronto con gli articoli che hanno a che fare col Diritto alla riservatezza, senza mai fare riferimento alla “legge-bavaglio”, benché fosse evidente l’obiettivo del discorso.
Una frase-chiave che mi sono segnato è stata: non è affatto necessario modificare l’articolo 12 per allargarlo alla televisione, come qualcuno ha ipotizzato” (io mi sento di aggiungere che non è necessario modificarlo per aggiungerci internet, come qualcuno ha pure recentemente proposto).

Ezio Mauro – Il dovere dei giornali di informare e gli altri poteri

Ezio Mauro ha fatto un intervento molto sentito, molto applaudito, impostato sul dovere dei giornali di non essere “partiti” (come molti insinuano essere Repubblica), ma di dover avere una personalità con la quale il lettore può identificarsi e sentirsi a casa. La relazione col titolo del suo intervento è stata più evidente, anche se molto “repubblicocentrica”.
Ha parlato delle famose “dieci domande”, alle quali Berlusconi avrebbe infine risposto nel libro a firma Bruno Vespa: Mauro ha precisato che in realtà ha dato un’ unica risposta globale, dicendo che non può spiegare fino in fondo, e Mauro rilancia: vorremmo sapere i motivi per cui non può farlo.
Mi è molto piaciuto il punto in cui ha spiegato come i giornalisti sono legati a un patto implicito coi lettori, facendo un esempio semplice: cosa penserebbe il mio amico che conosco da anni se scrivessi cose indegne? Un meccanismo di autocontrollo nel quale mi sono abbastanza riconosciuto.

Mauro ha spiegato che quando vengono i giornalisti stranieri a chiederli se in Italia c’è libertà di stampa risponde di sì. Però è necessario chiedersi: “qual è la qualità della nostra democrazia?”

Antonio Di Bella – Parlare a tutti. Diritti e doveri dell’informazione televisiva

Antonio Di Bella ha parlato con grande ironia e cinismo del funzionamento di un TG , spiegando che in fin dei conti i telegiornali “sono come un termometro,  utili per capire qual è al momento l’equilibrio tra i poteri”,  in base a quanto tempo viene dedicato a ciascuno di essi.
“Nei Telegiornali non c’è la realtà”.
E’  emerso quanto ormai gli ascolti infuenzino ia scaletta delle notizie: per esempio, gli esteri attirano poco i telespettatori.

Mi viene spontaneo (come sempre) chiedermi come la gli ascolti abbiano il potere di influenzare la scaletta dei TG (e non solo quella di trasmissioni ochesche, il che si potrebbe anche capire).

E’ stato interessante notare come anche da un pubblico come quello di Democratica sia arrivata regolarmente,  a praticamente tutti i relatori, la domanda “non sarebbe bene privatizzare la Rai?”
A nessuno è venuto in mente che tutte le privatizzazioni hanno portato a deterioramenti dei servizi o aumento dei costi, nessuno ha pensato a una “riforma” delle regole: questo nonostante che i relatori abbiano sottolineato come in tutti i paesi esistano reti di servizio pubblico.
Ecco, questo mi è abbastanza dispiaciuto.


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14 responses

7 07 2010
tiptop

sono curiosissima di leggere come ci vedono all’estero, se sapessi le lingue cercherei gli articoli…

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8 07 2010
williamnessuno

eh, ci vedono molto male… Del resto come potrebbe essere altrimenti?

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8 07 2010
tiptop

lo immaginavo, ma vorrei proprio sapere cosa rilevano (immagino anche quello, ma cerco il riscontro ai miei pensieri)… non è che qui se ne sappia molto

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9 07 2010
Guido Tedoldi

Riguardo la privatizzazione della Rai qui in Italia resiste il mito che le aziende private siano più efficienti e meglio amministrate di quelle pubbliche.
Ma se i telegiornali raccontassero la realtà com’è, senza inventarsene ogni volta una alternativa, ci si renderebbe conto che spesso non è così… visto quante sono le private che falliscono e in cui l’ambiente di lavoro è degradante.

Un altro mito è che, se un’azienda ha un padrone, si capisce meglio dove voglia andare a parare e a quali condizionamenti si sottoponga lui stesso per facilitare la propria impresa o sottoponga i suoi collaboratori e dipendenti. Nell’attuale Rai lottizzata, invece, non si capisce niente.
Ehm.
Come se i condizionamenti fossero inevitabili, e connaturati con il mestiere stesso dell’informazione. Come se la libertà non potesse esistere. Come se la realtà non fosse raccontabile bensì soltanto mistificabile a vantaggio di questo o di quello.

E l’altro mito, raccontato da Di Bella, che ai telespettatori non interessino le notizie provenienti dall’estero.
Come se non esistessero le pagine di internet, la stragran parte delle quali sono di produzione estera, e se anche esistessero non le leggesse nessuno. Come se l’Italia fosse l’ombelico del mondo e l’emigrazione fosse un fenomeno estinto, sostituito dalla formula «cervelli in fuga» (sottotesto: «o sei un cervello brillante o non puoi nemmeno fuggire, ti tocca rimanere qui a soffrire con noi, ah ah»).

Forse è chi l’informazione la fa, a non essere adeguato. Chi la sta facendo adesso, intendo, chi dirige i grandi giornali adesso, chi dirige le reti tv. Una generazione di incompetenti, proni ai condizionamenti e mistificatori della realtà.
Che poi non è una generazione di ignoranti. Il Paolo Mieli che racconta la storia del giornalismo a partire dal ’600 non si può dire ignorante. O il Roberto Zaccaria che parla dell’articolo 12 della Costituzione, quello sul tricolore, intendendolo come il 21, quello sulla libertà di parola, non si può dire che non abbia fatto le sue buone letture. O l’Ezio Mauro che dimostra che un giornale non è un partito… come lo si può dire ignorante?
Solo che, come diceva anche Forrest Gump, «stupido è chi stupido fa».

Ah, che mestiere rognoso quello dell’informazione!

Guido Tedoldi (giornalista professionista)

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9 07 2010
williamnessuno

Guido, in effetti c’è stato un refuso, il 21 è diventato 12, il blog non ha correttori di bozze, Grazie per la segnalazione, correggo immediatamente.

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9 07 2010
williamnessuno

Guido, oltre che per la segnalazione dell’errore (grave) ti ringrazio per il commento articolato.
A proposito della Rai, visto che ci lavoro da parecchi anni (non come giornalista, non ti prreoccupare, visto che con l’errore 12-21 ai tuoi occhi mi sono del tutto squalificato), ho visto il continuo declinare del livello di comunicazione (non relativo certo solamente ai telegiornali). Lottizzazione è una parola grossa, ormai, ho impressione. Più che impressione. Di Bella ha anche spiegato come era nata: ma non ha detto -come fai notare tu- che non ci si capisce più niente, oggi come oggi. Una riforma potrebbe essere utile, anche se come ben sai son cose che in Italia rischiano di portare a peggioramenti anzichè miglioramenti. L’idea della privatizzazione in sè non è inaccettabile: il fatto è che sempre viene portata avanti come soluzione ai problemi dell’Azienda, invece dal’interno si ha la sensazione che si stia depotenziando e svilendo il tutto per poterlo svendere. Il centro Produzione Salario ha sale analogiche che quando si guasta un pezzo non può più essere riparato, tanto sono vecchie…
Di Bella ha posto il problema: chi si potrebbe permettere di comprarla?
Rimanendo a Di Bella, ha solo notato che gli esteri registrano una flessione degli ascolti e ha spegato che ci vorrebbero altri metodi per far “comprendere” di cosa si stia parlando: ha fatto esempi di grafiche che si potrebbero adottare. Certo non potevo riferire TUTTO quello che è stato detto, anche perché probabilmente tra breve metteranno sul sito i video che hanno realizzato. O almeno spero. Ho cercato di identificare i punto che A ME sono sembrati salienti. Probabilmente da Giornalista Professionista tu avresti raccontato diversamente. Questo lo posso capire.
Ho impressione che il sistema che si è creato negli ultimi 10 anni (con radici indietro nel tempo, naturalmente) renda veramente diffcile la sopravvivenza a chi non si adegua e accetta. A me la rende.
Il sistema del quale parlava Ezio Mauro è bellissimo, però alle persone, ai colleghi interessa di più che gli amici li ammirino per quello che scrivono (o non scrivono) o per l’ultimo SUV acquistato grazie al compenso aumentato o alla promozione ricevuta? Questo è il punto. Secondo me è un problema che in questo paese va ben oltre alla sfera professionale del mondo del giornalismo e della comunicazione.
Ancora grazie, W.

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9 07 2010
Guido Tedoldi

William, mi pare di dover fare delle precisazioni.
Quando ho specificato nella firma di essere giornalista professionista, avevo lo scopo di prevenire critiche del tipo: «Ma cosa parli a fare tu che non sei nemmeno dell’ambiente». Non intendevo tirarmela autoassegnandomi un titolo né squalificare chi non ne avesse. Io al convegno non c’ero, se ci fossi stato e mi fosse capitato di raccontarlo probabilmente avrei usato parole diverse (non migliori o peggiori, diverse – perché ognuno di noi è una persona che vede con i propri occhi e da una posizione fisica che nessun altro può occupare).

Riguardo la questione articolo 12 o 21, era intuibile un errore di battitura. Era anche intuibile la posizione di Zaccaria, che sulle questioni del diritto di espressione è uno degli esperti più affermati nel nostro Paese insegnandola all’Università. A suo merito c’è anche il periodo che ha trascorso come presidente della Rai, durante il quale ha perlomeno tentato di trasformare in pratica quotidiana discorsi accademici e giurisprudenziali.

Riguardo la Rai, ciò che posso dirne è tutto esterno. Non ci lavoro, ne guardo soltanto i programmi, soprattutto quelli giornalistici. Posso immedesimarmi con certi colleghi e tentare di intuire il senso di alcune loro scelte, ma mi manca la frequentazione quotidiana delle persone e dell’atmosfera.
Per certi aspetti sono come chi guarda una montagna da lontano: so tutto di come è la sua forma generale, ma sono troppo distante per sapere come sono fatte le singole pareti, i singoli burroni, i singoli sassi.

E ribadisco: ah, che mestiere rognoso quello dell’informazione! 🙂

Guido Tedoldi

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9 07 2010
williamnessuno

Guido, non ho visto nel tuo commento nessun elemento secondo il quale si possa dire che tu te la tirassi! Hai fatto bene a firmarti qualificandoti, dal resto io ti conosco via Facebook ma le migliaia e migliaia di lettori (hahaha!) di questo blog non sono tenuti a sapere.
Ci sono stati presidenti della Rai notevoli, prima di Zaccaria ci fu Celli che però non riuscì a resistere a lungo, il che è tutto dire.
Paradossalmente nemmeo io la guardo più, nemmeno i miei servizi. Una volta me li guardavo e ne andavo fiero. Adesso… Quando passai da Mediaset alla Rai mi pareva di essere sfuggito al deterioramento, ma il deterioremento mi ha inseguito e adesso non so più dove altro scappare. Come news, al massimo guardo Sky. Poi appunto c’è internet.
Ciao e grazie ancora

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9 07 2010
williamnessuno

questo link è per Tiptop:

E’ sottotitolato.

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9 07 2010
tiptop

Mi sento non udente….
🙂

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10 07 2010
williamnessuno

In che senso?
🙂

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10 07 2010
Guido Tedoldi

TipTop mi incarica di comunicare che sarà lontana dai computer fino a domenica sera… 🙂
Si sente non udente per via dei sottotitoli. Come i programmi della pagina 777 del televideo…

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11 07 2010
tiptop

🙂 grazie Guido…
mi era risuonato nelle orecchie un qualcosa tipo sottotitolato alla pag 777 per i non udenti…

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14 07 2010
William Nessuno

Hahahaha! Ho capito! Scusa tanto, non avevo colto!
Del resto mi dicevi che vorresti sapere cosa me pensano all’estero ma non sai le lingue… (non è che ci creda molto, eh…)
🙂

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